martedì 16 febbraio 2016

Episodio XCIII "C'è qualcosa che non va...ma non so proprio dirti cosa..."

Era quasi un'ora che Kira guardava lo schermo del suo mac, inutilmente, senza aver scritto neppure una parola; non ne poteva proprio più, pensò di aver assolutamente bisogno di una pausa. Indossò così il suo cardigan di lana e si compri ulteriormente con il solito scarpone nero, poi frugò nervosamente nella sua borsa in cerca di una sigaretta e uscì fuori, sul piccolo terrazzino. Faceva proprio un gran freddo, sembrava quasi che il gelo penetrasse nelle ossa, ma lei fumava senza fretta, guardando di sotto la fila di auto imbottigliate nel traffico dell'ora di punta. Erano passate le 20.00, sul display dello smartphone nessuna chiamata di Carlo; non si sentivano da più di 24h. Erano passati ormai 10 giorni da quando quel venerdì mattina lui l'aveva chiamata, svegliandola di soprassalto, per informarla che era in partenza per Firenze, il padre era ricoverato in ospedale e Irma lo aveva pregato di correre lì. 
"Posso accompagnarti, se vuoi!" le aveva chiesto lei con apprensione. Lui aveva risposto che era già in viaggio e che non era necessario che si preoccupasse, lui l'avrebbe tenuta aggiornata, si sarebbero sentiti presto. Aveva messo giù, senza dire più niente, senza lasciarle aggiungere altro. Kira ricordava di quella telefonata il distacco con cui lui le si era rivolto e la sensazione che tra loro ci fosse qualcosa d'importante che era lasciato in sospeso.
Proprio in quel momento Frida fece ritorno dalla solita passeggiata serale con Merlino. 
"Che impegni hai per la serata?"  le chiese appena entrata in casa, togliendosi il cappotto mentre Merlino si scaraventò scodinzolante sul divano.
Kira fece spallucce, si gettò sul sofà accanto al canino e diede un'ultima occhiata al display del cellulare, nessuna chiamata, né un messaggio. 
"Che c'è? ancora non ti ha chiamata?" le chiese Frida, un po' allarmata, Kira le sembrava alquanto depressa da quando Carlo era andato via, quasi facendo perdere le tracce di se. 
"No!" rispose con tono lamentoso " uff…è sparito, non ci sentiamo da due giorni. Mi accontenterei di sapere come sta lui, come sta suo padre. Non chiedo troppo, accidenti!" 
Frida cercò di tirarla su, infondo Carlo stava passando un periodo particolare, doveva aspettarsi un comportamento un po' strano da parte sua, lei doveva solo appoggiarlo il più possibile, stargli accanto, senza soffocarlo; presto tutto si sarebbe sistemato. 
"Io vorrei stargli vicino, ma se è sparito, mi dici io come faccio? Non risponde neppure più ai messaggi…" 
Frida alzò gli occhi al cielo "Vabbè…ki, basta con questa lagna, e con questa depressione…perché non ci cuciniamo qualcosa di  gustoso?" 
" in forno c'è la parmigiana  di mia madre…ma io non ho poi tanta fame!" 
"oddio…ma che mi fai sentire? rinunceresti alla parmigiana di tua madre? non ci credo neppure se lo vedo. Su dai, mentre io riscaldo quella prelibatezza, tu apparecchia la tavola…dai forzaaaaa!" disse balzando in piedi e trascinandola al centro del piccolo soggiorno "muoviti, pigrona…dai ti chiamerà, più prima che poi…vedrai!" 
"speriamo" rispose l'amica, non credendo ormai minimamente alle sue stesse parole. "c'è qualcosa che non va…ma non so proprio dirti cosa..." disse poi a bassa voce, parlando a se stessa. 

Carlo non sapeva neppure lui da quante ore se ne stava seduto lì, da solo, al buio, nello studio di suo padre. Quando era bambino adorava starsene in quella stanza piena di libri, era affascinato da quel grande tavolo da disegno davanti al quale il suo papà passava ore e ore. Lui si accomodava, in quella stessa grande poltrona di pelle, sulla quale era seduto in quel momento, e lo guardava con grande curiosità "Che fai papà?" gli chiedeva "Disegno…" rispondeva lui, mentre gli faceva segno di avvicinarsi, per mostrargli poi i suoi progetti, che nascevano come idee astratte, per diventare poi linee, punti e ogni sorta di forme geometriche, trasformandosi infine in concrete costruzioni, in cui le persone avrebbero in un modo o nell'altro trascorso la propria vita.  Quella stanza era sempre stata il suo nascondiglio, il suo rifugio da tutto quello che gli metteva ansia, paura, gli faceva  rabbia o gli provocava insicurezza, e anche in quell'occasione tra quelle mura, aveva trovato un po' di conforto, per un po' era riuscito a sentirsi protetto e al sicuro. Filippo era stato dimesso da qualche giorno, sembrava stare meglio, anzi in realtà sembrava essere sano come un pesce, l'ulcera gastrica che gli aveva provocato quella brutta emorragia costringendolo al ricovero, ormai era sotto controllo, ma la situazione era davvero peggiore del previsto. Carlo non riusciva a togliersi dalla testa le parole del dottor Fanelli, l'oncologo che aveva in cura il padre "Purtroppo la situazione di sua padre si è presentata critica sin da subito. Siamo stati chiari sin da subito con lui. La terapia, comprendeva quattro cicli di chemio nel giro di un anno. E' una delle più aggressive a nostra disposizione e inizialmente, i primi due trattamenti sono andati ben oltre le nostre aspettative…nessuno si sarebbe mai aspettato una riduzione così significativa e repentina dei markers, ma in seguito all'ultimo trattamento, non abbiamo avuto risposte positive, anzi i valori sono peggiorati ulteriormente…Comunque, alla luce di questi risvolti poco positivi e soprattutto dopo la bruttissima reazione collaterale presentatasi nel paziente, il mio consiglio è quello di sospendere la terapia, di non sottoporre il paziente al quarto e ultimo ciclo." 
Quindi voleva dire  lasciare che la natura facesse il suo corso?  gettare la spugna? Carlo e Irma non erano assolutamente d'accordo, nessuno dei due era pronto ad arrendersi ad un simile realtà e gridarono con forza il loro disappunto, quella stessa mattina nello studio del dottore. Ma Filippo fu irremovibile, aveva già da tempo messo in conto un'eventualità del genere, e in tutta onestà era stanco; i mesi di chemio erano stati estenuanti, non riusciva a lavorare, a concentrarsi, a fare qualsiasi cosa gli piacesse, lo facesse stare bene, sentire vivo. Sentire quei discorsi uscire dalla bocca di suo padre, gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene; non riusciva a spiegarsi perché, non potesse ancora provare, darsi un'ultima opportunità, completare l'ultimo ciclo, poteva essere una speranza. "No, basta Carlo…Faremo come ha consigliato il dottore, sospendiamo i trattamenti…voglio vivere quello che mi resta dignitosamente, non come un derelitto che non può neppure andare al bagno da solo. Ho deciso, non mi farete cambiare idea!" 
Carlo reclinò la testa sul grande schienale di pelle, si sentiva stanco, chiuse gli occhi, per un attimo pensò a Kira. Non si sentivano da quasi due giorni, o meglio era lui che era sparito; non l'aveva più chiamata, né aveva risposto ai suoi messaggi. Ma adesso nel buoi di quella stanza, sentiva di aver bisogno di confidarsi con lei, del suo della sua voce, in realtà le mancava, e non riusciva neppure a spiegarsi perché l'avesse tenuta così volutamente a distanza in quel periodo. Forse perché sapeva che parlando con lei avrebbe visto sotto una luce diversa la decisione di Filippo, e lui non era ancora pronto, non era ancora pronto a dire basta, ad accettare la scelta del padre di lasciarsi morire. 
E poi, poi c'era la questione di Tommaso. In quel momento si ricordò della sera in cui li aveva visti chiacchierare in quel bar, i loro sguardi, i loro sorrisi, non erano atteggiamenti innocenti, e questo l'aveva ferito. Ma adesso non riusciva a pensare ad altro, cosa starà facendo in questo momento? era la domanda che gli rimbombava nel cervello, e senza rendersene neppure conto compose il suo numero…Uno, due, tre squilli…
Kira aveva dato un' ultima occhiata al suo iphone, nessuna notizia di Carlo. Ormai non ci sperava neppure più, ma era incazzata, questa volta non ci avrebbe passato su, non era normale sparire in quel modo. Lei non l'avrebbe più cercato, prima o poi si sarebbe fatto vivo, e allora lei gliene avrebbe detto quattro. Si mise sotto le coperte, e con questi pensieri, pian piano cominciò ad abbandonarsi all'abbraccio di Morfeo, quando il telefono cominciò a vibrare insistente.
"pronto…" rispose dopo qualche squillo, era assonnata e ci mise un po' per realizzare che il telefono stava squillando
"ciao tigre!" la voce di lui dall'altro capo della cornetta la fece sobbalzare, era lui, finalmente, ma la ramanzina che aveva in mente di fargli fino a poco tempo prima, era completamente dimenticata. Rimase, qualche istante senza parole, non sapeva cosa dire, ormai non aspettava più una sua chiamata.
"ehi…ci sei?? stavi dormendo?"
"uhm…no…cioè non proprio…" balbettò con un filo di voce " come stai? come sta tuo padre?"
Carlo sospirò profondamente "Kira…" pronunciò il suo nome, come una supplica, sembrava addolorato, indifeso, in cerca di protezione. 
"cosa? cos'è successo?" rispose lei allarmata.
" sta morendo…ha rinunciato a tutte le cure…mi manchi, mi manchi tanto!" 
Kira rimase in silenzio, non sapeva bene cosa dire…com'era stata stupida, per tutto quel tempo non aveva fatto altro che lamentarsi del fatto che Carlo fosse distante, che quasi fosse sparito, mentre lui stava affrontando dei momenti orribili. 
" Ma non può arrendersi, come può aver deciso di lasciarsi morire così, senza lottare…" 
 "oh…Carlo mi…" 
"si lo so, tigre…so come la pensi, che accanirsi non è mai la scelta giusta…ma io non sono pronto…io…io non ce la faccio!!" Quelle parole gli vennero fuori come un ruggito, di disperazione e di rabbia; con Kira attraverso quel telefono si sentì libero di dare sfogo alle sue emozioni più profonde, irruppe in un pianto sommesso e straziante.

"Oddio, Carlo stai piangendo?" Cosa poteva fare? cosa poteva dirgli per farlo sentire meglio, lei non era per niente brava con le parole, e del resto in certe situazioni servivano davvero  a ben poco. "Carlo, ti prego, torna a casa, torna da me. Voglio abbracciarti." Fu l'unica cosa che le venne in mente di dire ed era quella l'unica cosa che entrambi più desideravano in quel momento.

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