mercoledì 25 maggio 2016

Episodio CXXVI "Andare avanti..."

Era passata una settimana dal funerale di suo padre, e per Carlo quella fu la prima volta a studio, senza di lui. Parcheggiò la moto  all'ingresso del grande palazzo signorile al centro città, che ospitava gli uffici. 
Non erano ancora le 8.30, e nell'edificio non c'era nessuno, tranne Sara, la storica e fedele segretaria, che Filippo aveva assunto 20 anni prima. La donna appena lo vide arrivare, lo abbracciò con affetto, d'altronde lo aveva visto crescere, e aveva passato la sua intera vita alle dipendenze della famiglia Carati, che quindi sentiva anche un po' sua. "suo padre sarebbe felice di vederla qui…questo studio è anche il suo,  è giusto che lei stia qui" Carlo le sorrise, non era molto convinto in realtà di quale fosse il suo posto in quel momento, ma sicuramente era suo dovere occuparsi, insieme ad Irma, degli affari di famiglia, e l'avrebbe fatto, non si sarebbe tirato indietro. "Questa è l'agenda di suo padre…sua sorella mi ha detto di darla a lei. Qui è segnato tutto, l'architetto era un tradizionalista, non amava la nuova tecnologia…se ha bisogno si me, sono nella mia stanza…" 
Carlo annuì "Per ora vorrei solo un caffè, amaro…può occuparsene lei?" così dicendo si congedò e si diresse nel suo nuovo ufficio, un tempo di suo padre. Fu come se in quella stanza ci avesse messo piede per la prima volta, come se non ci fosse cresciuto e non ci avesse lavorato per anni, prima che tutto quel mondo iniziasse a soffocarlo. Si avvicinò alla grande vetrata, aprì le tende, e velocemente la luce del sole del mattino si diffuse per tutta la stanza. Il panorama era davvero mozzafiato; l'Arno tagliava in due la città, che iniziava pigramente a svegliarsi e in lontananza svettavano imponenti la cupola di Santa Maria del Fiore e la torre di Palazzo Vecchio. Suo padre amava quella città, i suoi palazzi, i suoi musei. Pensare a lui gli faceva male, anche se per anni non si erano parlati, se ognuno aveva fatto la propria vita, ignorando quella dell'altro, adesso, che lui non c'era più, gli mancava terribilmente. Avrebbe dovuto essere più umile, più comprensivo, invece aveva trascorso gli ultimi anni a tenergli il muso e a litigare con lui…forse un giorno non avrebbe provato più tanti rimorsi, forse un giorno si sarebbe perdonato per aver perso tutto quel tempo e per essersi comportato come un bambino sciocco e ingrato. 
Forse un giorno ci sarebbe riuscito, ma in quel momento l'unica cosa che poteva e che doveva fare era mandare avanti i progetti di suo padre, quindi era meglio mettersi a lavoro. Si sedette alla scrivania e aprì quell'enorme agenda nera, su cui vi era segnato  di tutto, appuntamenti, conferenze, eventi. Per le successive due settimane, Carlo avrebbe avuto il suo bel da fare, l'agenda di Filippo era strapiena di impegni, come se lui avesse saputo che anche dopo la sua morte, ci sarebbe stato qualcuno a portare avanti il suo lavoro. E quel qualcuno era lui; come faceva Filippo ad essere così sicuro che lui avrebbe assolto ai suoi compiti? che lui sarebbe stato lì, a compiacerlo anche dopo la sua morte? Carlo fu preso da un moto di stizza, per un secondo ebbe la tentazione di buttare tutto all'aria, di andarsene  e ritornare alla sua vita, a fare lo chef nel suo amato ristorante. Ma poi il senso di colpa e quello del dovere ebbero il sopravvento; bevve un bicchiere d'acqua, si sbottonò i primi bottoni della camicia, allentandosi la cravatta, riprese in mano i documenti che aveva abbandonato sulla scrivania, si sedette sul divano al centro della stanza e iniziò a leggerli minuziosamente. Impiegò delle ore prima di capirci qualcosa in quel mare di appunti e annotazioni. 
Come prima cosa avrebbe dovuto indire al più presto una riunione con i soci e tutti i collaboratori, capire i progetti che c'erano in ballo, a che punto essi fossero e stabilirne di nuovi. 
Si era fatta ora di pranzo, la fame iniziava a farsi sentire e Carlo non vedeva l'ora di correre nel suo ristorante del centro preferito e regalarsi una gustosissima fiorentina. Proprio in quel momento Sara entrò nello studio "architetto…" 
"Carlo…il mio nome è Carlo, per piacere…"
"va bene architetto…ops…Carlo…volevo informarla che in sala d'attesa c'è il suo appuntamento delle 13.00"
Carlo corrugò la fronte, non aveva nessun appuntamento per quell'ora, anzi non aveva appuntamenti per tutta la giornata. Sara gli si avvicinò con fare elegante e con pazienza gli indicò la parte dell'agenda dove Filippo segnava tutti gli incontri di lavoro importanti. "Vede: Cristina Banti, 21 Marzo, ore 13,00…"
"ma la mia pausa pranzo?" disse scocciato, quasi piagnucolando come un bambino.
"Suo padre ci teneva tanto…abbiamo rimandato con la signorina già di due settimane, ma posso occuparmene io, se vuole…posticipo immediatamente…." 
Carlo reclinò la testa sul divano, sfinito…era lì dentro solo da mezza giornata e già si sentiva in gabbia "no, non c'è bisogno…mi dia 5 minuti e poi faccia accomodare la signorina Banti. Il mio pranzo aspetterà…ah…Sara…" chiese poi infine…" di cosa si occupa la signorina?" 
La donna gli lanciò un sorriso sincero, carico di orgoglio, quel ragazzo era proprio ligio al dovere poi aggiunse " La signorina Banti è qui per il posto di stagista…non so se suo padre gliene aveva già parlato…comunque il fascicolo e nel secondo cassetto della scrivania. Suo padre è rimasto molto colpito da questa ragazza. Beh… ora vado gliela mando tra 5 minuti…ah le porto anche dei toast al formaggio!!" Carlo annui, e con un gesto veloce e distratto della mano, la congedò, si sedette alla scrivania e tirò fuori dal secondo cassetto l'enorme raccoglitore "Stage". Non aveva idea che Filippo avesse in mente un progetto del genere, da quello che ricordava gli unici statisti in quello studio erano stati lui e la sorella, invece  aveva valutato più di una 50tina di ragazzi. La Banti era stata proprio una delle ultime che Filippo aveva esaminato ed era stata l'unica  donna ad essere confermata per un secondo colloquio, insieme ad altri due ragazzi. Chissà perché aveva scelto proprio lei, si chiese Carlo, mentre guardava curioso la piccola foto tessera allegata al suo curriculum. Erano stati forse quegli occhioni blu da cerbiatta impaurita ad ammaliare e intenerire suo padre. Carlo scosse la testa, impossibile, Filippo non era  quel tipo d'uomo, facile da ammaliare e intenerire. Cristina Banti entrò nell'ufficio proprio in quel momento, con passo sicuro e un bel sorriso salutò Carlo, stringendogli la mano e si accomodò proprio di fronte a lui. Carlo la osservò con attenzione; era una ragazza molto carina, non appariscente , acqua e sapone, nonostante indossasse dei tacchi vertiginosi, l' abbigliamento era semplice, essenziale, moderno ma al tempo stesso raffinato; un pantalone classico, stile capri color tortora e un lupetto bianco di lana, con su una giacca anch'essa tortora. 
La ragazza dimostrò subito un bel caratterino, spigliata e decisa, vantava un curriculum di tutto rispetto; a 24 anni si era laureata a pieni voti all'università di Ferrara, conseguendo poi un master in restauro di un anno a Londra. Per qualche mese aveva lavorato nello studio dell'architetto Faggiani, con cui ancora collaborava. 
"beh…" ribattè Carlo " quindi sarebbe disposta a lasciare il posto da Faggiani, per una stage, qui da noi? perché?" 
"Suo padre ha attuato una piccola rivoluzione nel settore, ho sempre ammirato il suo modo di lavorare. Inoltre durante il primo colloquio è stato gentile e compressivo, nonostante la mia pessima prima presentazione. Dove lavoro attualmente mi trovo benissimo, ma lo studio Carati è una grande sfida, ho ancora tanto da imparare, e qui sono sicura che potrò farlo" 
Carlo la guardò con sguardo duro, si passò nervosamente una mano nei capelli " lei da quello che ho visto, ha un grande potenziale. Mio padre di solito non sbagliava mai su queste cose…ma lei è consapevole che mio padre non c'è più? Io non sono lui…qui dentro potrebbero cambiare davvero un sacco di cose…"
"oh, ma certo…io conosco alla perfezione anche tutti i suoi lavori! Certo, non è in attività da un po', ma ho solo da imparare da lei, sarei estremamente felice di lavorare fianco a fianco con lei, e con sua sorella!" 
Carlo rimase qualche minuto in silenzio, quella ragazza le piaceva, e inoltre non aveva assolutamente voglia di fare altri colloqui con altri ragazzini, così alla fine disse "Lei ha fame?" 
"come scusi?" rispose Cristina non aspettandosi una domanda del genere. 
"lei ha fame?" ripetè Carlo alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a lei " perché io sto letteralmente morendo di fame…e ho voglia di una bistecca, e lei pranzerà con me…"
"la ringrazio, ma io…" Cristina non poté finire la frase, che Carlo la interruppe "le offro 15 giorni di prova, se accetta inizia ora, e come mia stagista, pranza con me…accetta?" le chiese fissandola negli occhi, mentre si infilava la giacca del vestito.
La ragazza non proferì parola, si sentiva le gambe tremare, completamente rapita da quei magneti occhi verdi e dal sorriso innocente ma allo stesso tempo furbetto. Si limitò ad annuire in silenzio. "ottimo faremo presto, abbiamo un sacco di lavoro da fare!" disse Carlo cedendole il passo e chiudendo poi la porta dell'ufficio alle loro spalle 





martedì 17 maggio 2016

Episodio CXXV "Un giorno buio"

Il funerale del signor Filippo si era appena concluso. Una cerimonia sobria e elegante; in perfetto stile Carati, così avevano mormorato i partecipanti vestiti a lutto, mentre percorrevano la grande navata per esprimere il loro cordoglio agli eredi del povero architetto. Irma e Carlo, perfetti, impeccabili nel loro ruolo, strinsero mani e ringraziarono i presenti, non lasciando trasparire neppure per un momento lo scoramento, il dolore che pesava nei loro cuori. 
Kira aveva osservato Carlo per tutto il tempo
cercando in continuazione una connessione con lui, ma in vano; era come se lui cercasse in ogni modo di tenerla lontana. In macchina, di ritorno dal cimitero aveva cercato la sua mano, aveva intrecciato le sue dita a quelle di lui. Voleva fargli capire che era lì per lui. Ma poi varcato l'uscio di casa, Carlo si era velocemente liberato dalla sua presa e lei sembrò avere la conferma del fatto che lui volesse soltanto tenerla a distanza. Irma aveva assistito alla scena, e aveva percepito il disagio della ragazza "dagli tempo…" le disse sfiorandole la spalla, accennando un sorriso, come per rincuorarla.
Al contrario del fratello Irma si rivelò una perfetta padrona di casa, nonostante tutto, la stanchezza, il dolore e la tragicità del momento. Invitò i suoi ospiti a comportarsi come se fossero a casa loro e a rivolgersi per qualsiasi cosa a Lara, la loro governante. 
Qualche ora dopo, Lara servì la cena; era una cuoca perfetta e tutti apprezzarono la sua cucina, eccetto Carlo, che non uscì neppure per un attimo dalla sua stanza. 
Erano passate le 22.00 quando Kira decise di andare da lui. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto dirgli per farlo sentire meglio, anzi era perfettamente consapevole che qualsiasi parola in momenti del genere sarebbe risultata superflua.  Magari non avrebbe detto niente, si sarebbe accoccolata vicino a lui, e sarebbe rimasta lì fintanto che lui l'avrebbe voluta al suo fianco. 
Entrò nella stanza in penombra in punta di piedi, pensava che lui stesse dormendo, e non voleva svegliarlo, ma non appena gli si sedette accanto, sul fianco del letto, Carlo aprì gli occhi.
"Pensavo dormissi!" 
"c'ho provato tigre, ma in vano" rispose lui tirandosi su e mettendosi seduto affianco a lei. "E' stata una giornata dura…sono così stanco!" continuò appoggiando la testa sulla spalla di lei. "Lo so amore mio. Mi dispiace così tanto!" disse lei attirandolo ancora di più a se. 
"Menomale che ci sei!" disse poi baciandole il collo, mentre una mano scivolava sul suo ginocchio, e iniziava ad accarezzarle  audacemente la coscia, salendo sempre di più, fino a spingersi oltre l'orlo de vestito. "Carlo…" lo ammonì lei timidamente, bloccandogli la mano con la propria. Lui alzò la testa dalla sua spalla e la guardò con aria innocente "Cosa c'è che non va?" le chiese.  "beh…non credo sia il momento adatto!" mormorò Kira in imbarazzo. Le sorrise beffardo, le prese il viso tra le mani e riempendola di piccoli baci  disse "Non dirmi di no, non stasera…ti prego… ho così bisogno di te!" 
Quelle ultime parole arrivano a Kira come un grido di aiuto, come avrebbe potuto negarsi? Si lasciò andare così alle sue carezze e si lasciò travolgere dai suoi impetuosi baci, si concesse così a l'uomo che amava e che aveva così bisogno di lei.
Al mattino Kira si svegliò di soprassalto con la strana sensazione di trovarsi in un letto non proprio, in una stanza non sua. Carlo non era lì, lo aspettò per un bel po', poi stufa si vestì in fretta, raccolse le sue cose e filò via, nella stanza degli ospiti che Irma aveva riservato a lei e Frida. 
L'amica la salutò, allegra come al solito e notò in lei un certo malumore. "in effetti, non sono molto in forma…ho dormito da schifo" disse appoggiandosi sul suo letto. 
"come sta Carlo?" le chiese allora Frida.
"non ne ho idea!" rispose secca lei, sbuffando. Alla fine non avevano parlato molto, poi si erano addormentati, e al risveglio lui non era lì. Non l'aveva mai fatto prima, non aveva mai lasciato che si svegliasse da sola…che diavolo stava succedendo? Si chiese, senza riuscire a darsi una risposta. 
"Dai kira, il padre è morto neppure tre giorni fa…dagli tempo!" le suggerì l'amica, sedendosi affianco a lei "piuttosto, tra qualche abbiamo il treno, datti una mossa, e scendiamo a fare colazione, ho una fame da lupi!!" 
Kira si alzò in silenzio, e si chiuse in bagno. Una doccia era quello che voleva, per non pensare, anzi per lavare via i cattivi pensieri!
Daniel, Irma e suo marito Giorgio erano già lì a fare colazione, quando le ragazze arrivarono in cucina. "buongiorno!" le salutò Irma cordialmente "avete riposato bene?" Entrambe annuirono, anche se Kira si sentiva uno straccio, e le diede ancora più fastidio il fatto che Carlo non fosse neppure lì, a fare colazione con gli altri. 
Kira bevve in silenzio in suo caffè amaro, mentre gli altri attorno a lei parlavano del più e del meno, ad un certo punto si intromise nella discussione "Ma Carlo? l'avete visto?" 
"E' uscito presto…credo che sia andato a farsi una corsa…gli farà bene lo sai, lui sfoga le sue ansie con l'attività fisica." 
Parli del diavolo…pochi secondi dopo Carlo entrò dalla porta sul retro, diede il buongiorno a tutti educatamente, baciò Irma dolcemente sulla guancia, ma a Kira non rivolse neppure un occhiata. Ancora una volta il suo comportamento le confermò che qualcosa non andava, e forse non era solo legata alla morte del signor Filippo. Kira si sentì mancare l'aria, lui continuava ad ignorarla; beveva la sua spremuta tranquillamente, conversando con gli altri, ma non rivolse a lei neppure una parola, non la degnò neppure di uno sguardo, nonostante lei lo cercasse continuamente. La ragazza non riusciva a capire perché si comportasse in quel modo, se lo facesse apposta o se neppure se ne rendesse conto. A questo punto sperava che lui non ne fosse cosciente, perché le stava facendo male, si sentiva enormemente ferita. Non sopportava più quella assurda situazione, sentiva lo stomaco contorcersi e il magone salire su per la gola, balzò in piedi, e inventando di dover ancora preparare la borsa per la partenza si rifugiò nella camera degli ospiti appena in tempo, prima che le lacrime iniziassero a inondarle il volto. 
Frida la conosceva bene, conosceva bene entrambi, tanto da capire che Carlo non si stava comportando in modo normale e che questo ferisse Kira enormemente. Aspettò un po', poi salì anche lei in camera, per capire meglio la situazione. Kira era seduta sul suo letto, sembrava tranquilla, ma aveva gli occhi rossi, di chi aveva appena finito di piangere, ma Frida non glielo fece notare, le si sedette affianco "Stai bene? sei pronta? dobbiamo andare!" 
Kira annui, tirò su col naso, si alzò, andò in bagno, si sciacquò il viso e ritoccò l'eye-liner leggermente sbavato. "ottimo" si disse guardandosi allo specchio "non sembra neppure che io abbia pianto!" Poi raccolse le sue ultime cose e insieme a Frida scesero al piano di sotto, dove l'aspettavano Daniel e Carlo, che gli avrebbe accompagnati alla stazione. 

Qui prima che il treno partisse, mentre Daniel e Frida già erano saliti sul vagone e prendevano posto, Kira chiese Carlo se volesse che lei rimanesse con lui. "Non è necessario!" rispose lui freddo, guardandola negli occhi, in un modo che a lei sembrò tutto nuovo. Quelle parole furono un fulmine a ciel sereno, si sentiva offesa, usata, la sera prima l'aveva pregata di restare nel suo letto, aveva bisogno di lei…e adesso? cosa era cambiato? perché adesso non era più necessaria? Avrebbe voluto fargli tutte quelle domande, ma poi decise di tacere, doveva essere comprensiva, dargli tempo, forse lui era solo tremendamente sconvolto, era il suo modo di reagire alla perdita. "Dagli tempo!" si ripetè per l'ennesima volta, così mise da parte i suoi sentimenti "ok!" disse abbozzando un sorriso "ti chiamo appena arrivo a casa!" cercò di essere il più naturale possibile, ma quando lui per salutarla cercò le sue labbra, kira sfuggì a quel bacio, involontariamente si scansò e lo baciò sulla guancia, poi gli diede le spalle e salì sul treno.

mercoledì 11 maggio 2016

Episodio CXXIV "Fantasmi dal passato"


Assan guardava Ester con aria dispiaciuta, si sentiva impotente davanti a quella situazione, la sua compagna si era chiusa in un mutismo doloroso dalla sera precedente, quando gli era arrivata quella chiamata di suo figlio.
Quella notte lei non aveva chiuso occhio, non si era messa a letto, ma era stata fino all’alba a pensare e a bere the verde, gl i aveva detto che non aveva voglia di parlarne, doveva prima schiarisi le idee.
 Quella mattina, poi, era uscita di casa “vado al cimitero dov’è sepolto. Ho bisogno di stabilire un contatto...ho bisogno di capire”, gli aveva detto; Assan si era offerto di accompagnarla, ma era una cosa che doveva affrontare da sola e da quando era rientrata a casa, verso le tre del pomeriggio, si era seduta sulla sua poltrona rosso borgogna, ferma, con lo sguardo immobile fisso nel vuoto. Il suo volto aveva un’espressione quasi severa e questo perché era terribilmente arrabbiata, provava una profonda e insuperabile rabbia nei confronti della vita.
Perché? Continuava a chiedersi. Perché era successo proprio a lei? Anche quella mattina, durante il tragitto in treno per arrivare al paesino dove era sepolto Aldo, il padre di suo figlio, non aveva fatto altro che farsi queste domande, senza riuscirsi però a dare una risposta. Il cimitero era piccolo, ordinato. Arrivata lì chiese informazioni la guardiano, dopo aver girovagato tra le lapidi, tra i nomi e tra corone di fiori, da lontano scorse il suo nome scritto a grandi lettere, ma si fermò davanti a due o tre tombe più avanti, perché davanti a lui c’era una donna vestita di nero che stringeva un rosario tra le mani, singhiozzando silenziosamente.
Era una donna minuta, con i capelli biondi raccolti in una lunga treccia e il capo coperto da un cappellino nero con una piccola visiera, che lei abbassò lentamente sulla fronte come per coprire gli occhi rossi di lacrime. In quell’istante Ester aveva pensato di andar via, cosa ci facev
a lì? Che diritto aveva lei di stare in quel posto di sofferenza, dove c’era una moglie, una vedova, che ancora piangeva il suo uomo? Ma poi cambiò idea, anche se lui non poteva risponderle, lei doveva parlargli, doveva riconciliarsi con il falso dèmone che per tutta la vita l’aveva perseguitata, quell’abbandono che in realtà, forse, non c’era mai stato. Trascorsero dieci minuti prima che quella donna, dopo aver accarezzato un paio di volte la fotografia sulla lapide, andò via con aria seria; le passò accanto, e per un istante Ester avrebbe voluto fermarla per chiederle qualcosa di lui, ma poi rinunciò e col capo chino si avviò lentamente davanti alla tomba, che stava a pochi passi da lei; arrivata, fece un respiro profondo prima di alzare lo sguardo.
Scrutò quella foto, erano trentasei anni che non lo vedeva, ma le sembrò di scorgere in quel volto lo stesso ragazzino diciottenne di cui si era perdutamente innamorata e che tanto aveva maledetto per tutti quegli anni in cui era stata sola. Era bellissimo. I grandi occhi azzurri, identici a quelli di Daniel, avevano la stessa luce; il viso era segnato da poche rughe, d’altronde aveva poco più di cinquant’anni quando era venuto a mancare.
Chissà che tipo di uomo era diventato, chissà se era stato un buon padre per suo figlio Rosario, chissà se era stato un buon marito...tutte quelle domande le rimbombavano in testa come un martello pneumatico. Ma più di tutto, a straziarle il cuore, erano mille ‘perché?’.
Per tutta la vita si era chiesta perché l’avesse abbanonata, perché avesse rifiutato suo figlio, mille volte aveva pensato di cercarlo per chiederglielo di persona, ma ogni volta aveva desistito, dopotutto perché avrebbe dovuto? Perché avrebbe dovuto cercare un uomo che non la voleva? Quando da ragazzina prese la nave per Napoli insieme a Daniel appena nato, pianse per tutto il tragitto: proprio Aldo, che le aveva giurato amore eterno, che centinaia di volte le aveva promesso che l’avrebbe sposata e che sarebbero stati felici insieme, come aveva potuto dimenticarla così? Come aveva potuto rifiutare il frutto del loro amore? Per tutti quegli anni aveva cresciuto un figlio da sola, si era imposta di non innamorarsi, di non sposarsi, ma di pensare solo a stare con Daniel, per impegnarsi al massimo a fargli da madre e da padre.
Ci aveva messo tanti, troppi anni per accettare che il destino aveva deciso così, che forse lui non l’amava veramente come diceva e che era stato meglio così, era stato meglio non rivederlo mai più. Ma adesso tutto era cambiato, ora tutto era chiaro. I suoi genitori e i genitori di lui li avevano separati, facendole credere che lui l’avesse rifiutata. Per tutti quegli anni avevano vissuto a chilometri di distanza, lei con il loro figlio, lui senza di loro; lei col cuore spezzato, deluso, ferito, lui con l’ansia di ritrovarli. Ci era quasi riuscito, alla fine, grazie a suo figlio Rosario, ma non aveva fatto in tempo, un’altra beffa di quel destino che li aveva allontanati, così lui adesso non c’era più ed Ester non poteva parlargli, non poteva ascoltare le sue spiegazioni, ma soprattutto, la cosa che le faceva più male, è che altri avevano deciso deliberatamente di non fargli conoscere suo figlio, il suo primo figlio, ma soprattutto avevano negato un padre ad un bambino.
Ester non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno di primavera, Daniel aveva sette anni, e lei lo trovò seduto per terra con le gambe incrociate, fuori al balcone; giocherellava con dei pennarelli, ma davanti a lui c’era un foglio vuoto e lei, da madre, si accorse subito che era triste e pensieroso. “Cosa c’è, amore? Non sai cosa disegnare?” gli chiese allora accarezzandogli i capelli chiari; lui allora alzò lo sguardo, i suoi occhioni azzurri erano lucidi, poi li riabbassò di nuovo sul foglio, “no”, le rispose allora con un filo di voce “stavo solo pensando...perchè io non ho un papà?”. In quel momento Ester si sentì trafitta al cuore, sapeva che quella domanda sarebbe presto arrivata, insomma, suo figlio era cresciuto ed era ormai abbastanza grande da capire di non avere una famiglia tradizionale. In quel momento lei capì che Daniel doveva sapere la verità, e gli raccontò che il suo papà aveva deciso di rimanere in Sicilia e che, forse, un giorno, si sarebbero potuti rincontrare. Crescendo, negli anni seguenti, Daniel capì che il padre lo aveva abbandonato, e un giorno, a sedici anni, le chiese se fosse andata così, ed Ester non potè mentirgli, era grande ormai, ed era abbastanza forte per conoscere a fondo tutta la storia. In ogni caso, suo figlio aveva sofferto inutilmente, gli era stato strappato via suo padre, con l’inganno e lei adesso non riusciva a non colpevolizzarsi, avrebbe dovuto capirlo, avrebbe dovuto cercarlo, così si sarebbe chiarita tutta la situazione.
“Perché non hai insistito di più? Perché quando ti impedivano di vedermi, non hai fatto di tutto per venire da me?” bisbigliò, con le lacrime agli occhi, rivolgendosi a quella tomba silenziosa. “Avremmo potuto avere la vita che sognavamo, avremmo potuto crescere Daniel insieme, avremmo potuto essere una famiglia, una vera famiglia. Potevamo scappare via insieme, e costruire tutto da zero, come ho fatto io a Napoli...ma insieme a te sarebbe stato diverso...” disse ancora piagnucolando a voce bassa, per paura che qualcuno potesse sentirla. “Ho continuato ad amarti come una ragazzina, per così tanto tempo...poi ho dovuto costringere il mio cuore ad odiarti e a dimenticarti...chissà se tu pensavi veramente a me, a tuo figlio, o se ci hai dimenticati dopo che ti sei fatto una famiglia...vorrei chiederti così tante cose....ma la vita è stata ingiusta con me, mi ha negato l’amore nel modo più meschino e non mi ha dato nemmeno il tempo di rincontrarti e di parlarti. Ora cosa mi resta? Un figlio cresciuto senza suo padre e un padre che non ha potuto vederlo crescere e diventare l’uomo che è adesso. Sono certa che saresti fiero di Daniel, penso di aver fatto un buon lavoro con lui. Ti assomiglia così tanto, ogni singolo giorno più lo guardavo, più rivedevo te. Ha i tuoi stessi occhi, il tuo stesso sorriso ed è così lunatico, proprio come eri tu...e sai, quel gesto che facevi sempre, di passarti la mano tra i capelli quando eri nervoso? Lui lo fa sempre quando è agitato...è diventato un uomo meraviglioso, mi dispiace così tanto che tu non possa conoscerlo e soprattutto che non possa dirgli di persona come sono andate realmente le cose e che hai pensato a lui in tutti questi anni”. Rimase lì davanti per quasi due ore, alternando tristezza a rabbia e rassegnazione, dopotutto non poteva tornare indietro, non poteva cambiare le cose, ormai la loro vita era andata così e non c’era modo di rimediare, il loro amore era stato spezzato, aggredito, umilato. Alla fine gli chiese scusa per averlo odiato per quasi quarant’anni, ma sapeva che lui l’avrebbe perdonata, sapeva che l’avevano portata via da lui contro la sua volontà. Per tutto il tragitto di ritorno, sull’autobus e sul treno non fece altro che pensare al suo viso, mentre mille pensieri le frullavano in testa.

Ora se ne stava seduta lì, su quella poltrona, si sentiva svuotata mentre i suoi cagnolini restavano accucciolati davanti ai suoi piedi, come se percepissero il suo umore, come se la comprendessero.     Assan le si avvicinò, con lo sguardo dolce che non perdeva mai e si poggiò delicatamente sul bracciolo della poltrona. Dal giorno prima non le aveva chiesto nulla, lui la conosceva bene, sapeva quando era il momento di lasciarla tranquilla, a pensare e sapeva che era arrivato il momento giusto per starle vicino. Così le ccarezzò delicatamente i ricci, “come stai?” le chiese, “ti ho preparato il riso al curry che ti piace tanto, penso che tu debba mangiare qualcosa...ma se vuoi parlare, parliamone...vuoi?”.     Ester alzò lo sguardo verso di lui e gli accerezzò lentamente la guancia, “sono molto triste, amore mio”, gli disse dolcemente, “lo so...” rispose allora lui, “che cosa pensi? A cosa stai pensando da ieri? Questa notte non hai chiuso occhio....”.     Ester sospirò sonoramente, “mi sento così vuota...ho passato tutta la vita a fare la ragazza madre, da sola, in una città sconosciuta...ho lottato contro i pregiudizi della gente, contro il disprezzo dei miei genitori, ho dovuto sempre farmi forza da sola...e per cosa? Per una cattiveria, Assan...solo per una cattiveria, per l’ignoranza schifosa di quelle persone che per tutta la vita mi hanno fatto odiare la persona sbagliata. Se le cose fossero andate diversamente, avrei avuto una famiglia, mio figlio avrebbe avuto un padre, io avrei avuto un marito.     E ora che l’ho scoperto, ora che ho scoperto che la colpa non è stata di Aldo, che lui non aveva fatto tutto quello che mi avevano raccontato, lui non c’è più.    Daniel non potrà mai più conoscere suo padre, non potrà volergli bene, non potrà ascoltare le sue ragioni. Lui si sentirà per sempre un figlio abbandonato, anche adesso che conosce la verità, oramai è inutile”.      Assan le asciugò le lacrime con un dito, non l’aveva mai vista così abbattuta, lei era sempre stata allegra, forte, energica. “Sono stati cattivi tua madre e tuo padre...nel tuo cuore hai potuto perdonare Aldo, ora dovrai trovare il modo di perdonare loro, che sono in cielo davanti al giudizio di Dio”. Ester gli sorrise dolcemente, Assan era molto religioso, a differenza sua, e credeva fermamente nella forza del perdono “amore mio”, gli disse allora lei “tu sei così buono, un cuore buono come il tuo non potrà mai comprendere questo grado di cattiveria. Non li perdonerò mai, se Dio esiste sa che non posso farlo. Li ho odiati quando mi hanno mandata via, da sola, col mio bambino, ma avevo trovato il modo di scusarli. Ma adesso no, non posso perdonarli. Hanno avuto tutto il tempo per raccontarmi la verità, potevano raccontarmela sul letto di morte! Invece hanno preferito morire con questo atroce segreto, hanno negato un padre ad un bambino...non li perdonerò mai, spero che stiano bruciando all’inferno”. Assan sussultò, ma capiva perfettamente il suo stato d’animo, si sentiva profondamente ferita, era piena di rancore e di rimpianto,     “amore mio”       le disse allora, dopo un’altra carezza, “un giorno, quando ci sarà il giudizio finale, quando tutti saremo al cospetto di Dio, tu potrai rincontrare Aldo, e potrete vivere felici come meritavate, mentre loro due, tua madre e tuo padre, non hanno vissuto felici in vita e non riusciranno a farlo mai..”       poi la strinse forte a sé    “adesso pensa che sei stata bravissima, hai un figlio bravo, intelligente, sei stata tu a titrarlo su così bene...poi ci sono io con te, e voglio darti tutto l’amore che meriti, curerò io ogni tua ferita, e vedrai che troverai la forza di andare avanti”. Ester si sentì più serena, Assan aveva ragione, non aveva senso crogiolarsi nell’odio e nel rimpianto, e per un attimo si sentì fortunata ad aver trovato una persona come lui, forse infondo la vita aveva voluto ripagarla.

mercoledì 4 maggio 2016

Episodio CXXIII "Segreti di famiglia"


Daniel era seduto nel suo salottino accanto  a Carlo e continuava a fissarlo con aria scettica e a tratti sarcastica, il nuovo acquisto del suo amico non lo convinceva per niente, “la smetti di fissarmi in quel modo?” gli chiese allora Carlo guardandolo con la coda dell’occhio,  troppo intento a tenere lo sguardo incollato al monitor della Tv. “Carlo, io non capisco perché hai portato sta Play Station a casa mia, non la comprerò e francamente non capisco perché tu l’abbia comprata!”.   Carlo gli rispose senza smettere di maneggiare il suo joystick e senza prestargli molta attenzione “ma è divertente, può servire pr svagarsi un po’ quando si hanno dieci-quindici minuti da perdere, aiuta a scaricare lo stress”.    Nonostante da almeno mezz’ora tentasse di convincerlo, Daniel non sembrava accennasse a cambiare idea “secondo me nemmeno i miei alunni perdono più tempo appresso a ste scemenze!” gli disse ancora con tono monitorio, per poi spegnergli la console dopo essersi alzato di scatto, facendo insorgere le proteste di Carlo “ma dai, in questo periodo si può dire che è la mia unica distrazione! Tra tutti questi viaggi avanti e indietro, la situazione di mio padre...concedimi un po’ di svago, almeno tu!”. Di tutta risposta, l’amico sospirò sonoramente, effettivamente non era un buon momento per Carlo, ma lui, che lo conosceva da tutta la vita, non poteva non notare il profondo cambiamento dell’amico. Insomma, la mattina dopo sarebbe dovuto ripartire per Firenze e invece di starsene con la sua ragazza se ne stava lì con quel videogioco di sparatorie davanti, il Carlo che conosceva non era così menefreghista, così decise di sedersi accanto a lui e gli chiese gentilmente di non riaccendere quell’affare. “Che c’è??” gli chiese allora Carlo infastidito. “Senti”, gli disse Daniel con tono pacato “ormai vai e vieni, e lo capisco...capisco che stai dando meno attenzioni al ristorante per stare accanto a tuo padre e a Irma e capisco che questo continuo viaggiare ti sta stressando, come ti sta stressando la malattia di tuo padre. Però...”   “però cosa??” lo interruppe Carlo, come se fosse leggermente infastidito da quel discorso; “però”, continuò Daniel “sei tornto ieri a Napoli, domani mattina riparti, per passare un po’ di tempo libero e scaricare lo stress te ne stai qui, sul mio divano, a giocare alla play. A me fa piacere che tu stia qui, ma Kira? Cosa sta succedendo con lei? Non voglio farmi a tutti i costi gli affari tuoi, ma so che non è da te considerarla così poco...l’avrai vista mezza volta da quando sei venuto, perché non sei da lei, adesso?”. Carlo sbuffò sonoramente, non aveva nessuna voglia di parlare della sua situazione con Kira, per lui non c’era niente che non andava. “Daniel è tutto a posto con Kira. L’ho vista poco perché anche lei ha i suoi impegni, non posso starle addosso solo perché devo andarmene domani...e poi non voglio che lei stia in mezzo a tutta questa storia e che subisca il mio stress”  “io credo che mettendola da parte lei stia più male, è così che subisce veramente il tuo stress!” rispose Daniel bruscamente., “cos’è? Te lo ha detto lei?”. A quella domanda Daniel lo guardò quasi sconcertato, “ma che dici? ma figurati...era una cosa che ho notato io, con i miei occhi...ti vedo stranito, e anche un po’ strafottente..amico, io lo so cosa stai passando, ma se posso darti un consiglio non chiuderti in te stesso, apriti alla donna che ami, coinvolgila nei tuoi sentimenti invece di alzare un muro, come stai facendo con me...”. Carlo sospirò, senza dargli risposta. Così Daniel cercò di smorzare la tensione e, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, provò a tirarlo su “in ogni caso ci ho pensato io a farti scollare da questo divano! Dopo cena usciamo con Clara e Kira, per un birretta tranquilla...quindi io adesso vado a farmi una doccia, così dopo cena andiamo a prendere le ragzze! E invece di stare incollato a sta cosa, che per giunta sei pure scarso, vai a preparare un boccone da mangiare, vai a fare quello che sai fare!”. Dieci minuti più tardi Carlo era ancora lì seduto, in realtà forse GTA non era proprio il gioco giusto per lui, effettivamente non ci trovava nulla di interessante, non sembrava esserci uno scopo reale. Così, stufo di gironzolare col suo personaggio immaginario, che per altro non gli somigliava per niente, spense la play e decise di cucinare qualcosa, ma cosa?, Si chiese guardando nel frigo mezzo vuoto di Daniel, in cui riuscì a scorgere solo uova, birra e qualche affettato “vabbè”, disse tra sé e sé “stasera andremo di spaghetti aglio, olio e peperoncino!! Il buon vecchio spaghettino non tradisce mai!”. Nel momento in cui l’odore dell’aglio stava iniziando leggermente a diffondersi,  Carlo sentì il campanello della porta e guardando dallo spioncino non riuscì proprio a riconoscere il ragazzo che aveva suonato, ma aprì senza troppi probemi, gettandosi lo strofinaccio da cucina su una spalla. Si ritrovò di fronte un ragazzotto abbastanza alto, di massimo trent’anni; notò che aveva un’aria stranamente familiare, ma era quasi sicuro di non averlo mai visto prima, forse era un conoscente di Daniel e lo aveva visto di sfuggita qualche volta, si disse. “Sei Daniel Rossini?” gli chiese il ragazzo, dopo averlo scrutato per qualche secondo in viso. Carlo gli rispose di no, e capì che evidentemente non era un conoscente, ma stava cercando proprio l’amico, così lo fece entrare, a primo impatto gli sembrò un ragazzo dalle buone intenzioni. “In realtà cercavo Daniel Rossini”, gli disse entrando con una certa sicurezza, quasi con sfacciataggine “cioè, non lo conosco personalmente, ma dovrei parlargli”. Carlo lo guardò stranito, stava per chiedergli qualcosa in più quando alle loro spalle spuntò Daniel in boxer, intento a strofinarsi i capelli con un’asciugamano “chi ha bussato?” chiese allora arrivando e rimase anche lui per un attimo bloccato alla vista di quel ragazzo che non aveva mai visto in vita sua, “è un tuo amico?” chiese allora a Carlo sorridendogli “no, in realtà cercava te…”. Daniel rimase stupito, cercò di fare mente locale, ma davvero non riusciva a ricordare chi fosse quel tipo, non l’aveva mai visto prima. Per qualche istante si creò un imbarazzante silenzio, sia Carlo che Daniel si accorsero che questo ragazzo sconosciuto guardava fisso Daniel negli occhi, sembrava che lo stesse analizzando, scrutando, come se stesse cercando qualcosa. “Scusate, sono piombato qui senza nemmeno presentarmi, io sono Rosario, sono un foto reporter e mi trovo qui a Napoli per lavoro. Cercavo te, Daniel, per una questione…ehm…piuttosto delicata…una questione personale”. Daniel sgranò gli occhi e guardò Carlo, che capì di essere di troppo “ok…io vado in cucina a controllare la cena…”. A quel punto i due rimasero soli nel piccolo salotto e Daniel fece gentilmente accomodare il nuovo inatteso ospite “dimmi tutto”, gli disse allora con tono convinto. “E’ il tuo compagno, quello?” chiese lo sconosciuto riferendosi a Carlo “oh no”, ridacchiò Daniel un po’ imbarazzato “è il mio migliore amico e socio in affari…lo conosco da quando eravamo bambini, diciamo che è mio fratello acquisito!”. Il ragazzo annuì accennando ad un sorriso, sembrava un tipo abbastanza curioso, continuava a guardarsi intorno e ostentava una certa sicurezza, non pareva intimidito.. Sentendolo parlare, Daniel notò che aveva l’accento siciliano, anche se non particolarmente marcato, così intuì che forse aveva qualcosa a che fare con sua madre, forse un suo conoscente.  “Allora, dicevamo? Cosa ti porta qui? Vieni dalla Sicilia, conosci mia madre, forse?” Rosario si schiarì la voce, “sì, sono siciliano, anche se non vivo più in Sicilia per questioni lavorative, sai, sono sempre in giro per il mondo, sono atterrato oggi a Capodichino da Ankara..e…io…Daniel io sono tuo fratello”. Davanti a quelle parole gettategli in faccia così, di colpo, Daniel rimase pietrificato “co..cosa?” riuscì solo a balbettare incredulo, dopo essersi passato nervosamente una mano tra i capelli bagnati “ma di che diavolo stai parlando?” Di fronte alle domande sempre più incalzanti di Daniel, Rosario decise di raccontargli tutto dall’inizio. Era nato a Messina trantatre anni prima, era laureato in chimica, ma la passione per la fotografia lo aveva portato a seguire un’altra strada, e oggi era un giornalista e fotoreporter affermato. Sua madre Teresa era una maestra d’asilo, suo padre invece era figlio di un falegname ed aveva portato avanti la piccola falegnameria di famiglia, almeno sino alla sua morte prematura. Si chiamava Aldo, ed era morto da otto mesi, a soli cinquantadue anni, per un cancro letale. Rosario raccontò di essere figlio unico, ma che da quando era bambino sapeva di avere un fratello, un fratello senza nome, chissà dove. Lo sapeva perché suo padre Aldo, per tutta la sua vita, non aveva fatto altro che cercare quel figlio che gli avevano impedito di amare. A sedici anni, infatti, si era innamorato di una giovane, bellissima ragazza, che tutti chiamavano Esterina, Rosario aveva sentito quella storia forse un milione di volte. A quel punto del racconto, però, Daniel lo fermò, visibilmente turbato e confuso “scusa, scusa, fermati un attimo…tu vuoi dirmi che tuo padre è l’uomo che ha abbandonato mia madre? Mia madre, Ester, mi ha detto che lui quando seppe della sua gravidanza si tirò indietro, non facendosi più trovare…”.  “Non è questa la verità” disse fermamente Rosario, con aria severa e sicura, “questo è ciò che hanno fatto credere ad Esterina…in realtà mio padre non ha fatto altro che cercarti, anzi cercarVI, per tutta la vita”.  La gravidanza della ragazza, continuò Rosario, fu comunicata ad Aldo dal padre di questa, e in entrambe le famiglie scoppiò un putiferio. Lui non la rivide più, non ebbe mai modo di parlare con lei del bambino che sarebbe nato. Ogni giorno era andato sotto casa sua, ma era stato mandato via e lei non era più lì, non aveva idea di dove l’avessero mandata, i genitori di lei avevano deciso di allontanarla da lui, la vergogna che loro figlia fosse una ragazza madre era troppo grande, nessuno doveva saperlo. Aldo l’aveva cercata in tutti i modi, ma anche i suoi genitori, che invece forse sapevano dove potesse trovarsi, gli dissero che era meglio così, era meglio per tutti, a diciassette anni avrebbe avuto tutto il tempo di rifarsi una vita. Ma Aldo era sicuro che Ester non l’avrebbe lasciato così, non riusciva a spiegarsi perché almeno lei non si facesse viva. Qualche anno più tardi venne a sapere delle voci che circolavano su di lui, tutti in paese dicevano che aveva rifiutato il bambino, abbandonando lui e la madre, e sempre queste voci dicevano che Ester dopo la nascita del bambino, un maschietto, fosse andata a vivere fuori dalla Sicilia, ma nessuno pareva sapere dove. Così, anche dopo aver sposato Teresa e dopo aver avuto il suo amato figlio, Rosario, non smise comunque di cercarla, lui aveva un altro figlio, ripeteva sempre, la sua era un’ossessione e a volte pareva vivesse solo per questo. Rosario era cresciuto così, con l’ombra di quel figlio e fratello perduto e fu proprio sul letto di morte che suo padre gli fece solennemente promettere che avrebbe trovato Ester e, quindi, suo figlio, che aveva solo tre anni più di lui, almeno questa era l’unica cosa che sapeva. Da allora Rosario aveva deciso di cercarlo, suo padre era morto con quel peso nel cuore, doveva e voleva farlo per lui. Così cominciò a fare ricerche sulla famiglia di Ester, riuscì a trovare alcuni suoi parenti, ma nessuno l’aveva più vista e sentita da quando era partita per Napoli, una trentina di anni prima, così aveva deciso di spostare le sue ricerche in Campania, ricerche che lo avevano portato direttamente a Daniel Rossini, che portava lo stesso cognome di sua madre. Quando Rosario finì di raccontare, tra i due salò il silenzio, Daniel sembrava in trans, così il ragazzo lo guardò dritto negli occhi “Daniel, sono tuo fratello e ti sto dicendo che tuo padre ti ha cercato per tutta la vita...”. Daniel aveva gli occhi lucidi, si prese la testa tra le mani e poi si alzò di scatto “mia madre deve saperlo assolutamente…” sussurrò.