lunedì 22 dicembre 2014

Episodio II "In un giorno qualunque..."


A prima mattina il negozio era vuoto e Frida era lì, impalata, a fissare dalla vetrina la pioggia e le auto che si susseguivano attraversando la strada. L’odore dei tessuti, degli scaffali e del parquet le procuravano sempre un gran mal di testa e sentiva il bisogno di prendere una boccata d’aria, così uscì e si accese una Chesterfield rossa. Il fumo di sigaretta le faceva schifo, ma l’aiutava a fare quello che amava di più, pensare, e quello era il momento giusto per farlo. Guardava la pioggia sottilissima e copiosa che riusciva a bagnarle gli stivaletti, nonostante fosse riparata sotto il porticato del negozio; cominciò a fissare il portone di fronte a lei che si trovava sul marciapede opposto e pensò che nonostante lavorasse lì da qualche mese, non si era mai soffermata a guardarlo. Era un portoncino vecchio e malconcio, con grate di ferro dal colore indefinito che andavano a coprire un vetro sporco ed opaco; sul lato destro spiccava una targhetta dorata, ma la miopia di Frida non le permise di leggere cosa vi fosse scritto, così pensò che si trattasse del solito studio dell’ennesimo avvocato spilla soldi che invadevano ogni angolo di Napoli. Le macchine continuavano a passare, una dopo l’altra, sulla strada che divideva il negozio dallo studio misterioso e Frida era ancora assorta; mentre fumava, fissava i volti delle persone nelle auto e immaginava, su ognuna,  che vita avesse, dove stesse andando, di che umore fosse. Le piaceva il pensiero che ogni individuo avesse una storia diversa e, allo stesso tempo, le piaceva fantasticare su quelle storie. All’ennesima boccata di nicotina, Frida fu bruscamente riportata alla realtà dal rumore di passi svelti sull’asfalto bagnato, allora distolse lo sguardo dal traffico mattutino e capì che si trattava dei passi di un uomo che camminava veloce sul marciapiede opposto. Era un uomo alto, magro, poteva avere dieci anni più di lei, forse meno,  andava a passo sveltissimo e nonostante tenesse un giornale fermo sulla testa, sembrava fradicio. Frida lo seguì con lo sguardo, arricciò un po’ gli occhi per metterlo a fuoco perché , senza un particolare motivo, le sembrò un tipo interessante. Mentre stava per immaginare quale potesse essere la vita di quell’uomo, lo vide avviarsi verso il portoncino che aveva poco prima fissato; pensò che sì, fosse lui l’avvocato, era possibile, eppure a differenza della maggior parte degli spillasoldi sembrava un tipo solare, dinamico, non le sembrava nemmeno troppo serio ma, d’altronde, erano solo supposizioni della sua fantasia. Continuò a seguirlo con lo sguardo, finchè non fu arrivato al portoncino,  finalmente al riparo dalla pioggia. Frida lo fissava incuriosita e scrutò ogni suo movimento mentre cercava di asciugarsi e rimettersi in ordine; poi lo vide tirar fuori un mazzo di chiavi, aprire il portoncino e richiuderselo alle spalle. La sigaretta era finita, così la gettò frettolosamente in una pozzanghera e rientrò in negozio, facendo attenzione ad asciugare bene le suole delle scarpe sul tappeto. Si sedette dietro la cassa e rivolse nuovamente lo sguardo oltre la vetrina, completamente assorta. Chi era quell’uomo? Era l’avvocato? Era un cliente dell’avvocato o forse solo un visitatore occasionale? Non lo aveva mai visto…ma soprattutto, pensò, perché le interessava così tanto saperlo? Magari avrebbe chiesto poi tutte queste cose a Milly, che lavorava al negozio già da qualche anno ed aveva una naturale inclinazione ai pettegolezzi, era un’impicciona nata.  Mentre si poneva tutte queste domande, entrò il primo cliente della giornata e Frida si impose di ritornare alla realtà. Tornò al suo lavoro quotidiano e non pensò più alle storie di tutte le persone che aveva guardato, né alla vita di quel presunto avvocato interessante che era lì, nel palazzo di fronte, a fare chissà che.

Erano le 7.15 di un martedì mattina e la sveglia assordante di Kira stava suonando ormai da più di dieci minuti, ripetutamente. Frida si rigirò di nuovo tra le lenzuola e si spazientì, insomma, si sarebbe dovuta svegliare mezz’ora più tardi se non fosse stato per la pigrizia di Kira; così si alzò dal letto con i capelli arruffati e raggiunse la stanza accanto con i piedi ancora nudi.
-Cazzo Kira! Mi hai svegliata, tu e la tua maledetta sveglia!- Il suo tono era tra l’arrabbiato e l’assonnato, ma l’amica non la prese molto sul serio e si rigirò sul fianco sinistro, dandole le spalle. –Bene-, aggiunse Frida con arroganza –sarai tu a far tardi, non è affare mio, tanto io sono in anticipo. Continua pure a dormire, non mi scomoderò ancora per ricordarti che sei in ritardo-.  Frida rimase a guardarla per un attimo, aspettando una risposta, o almeno un segno di vita. Sospirò rumorosamente e pensò che l’unico modo per tirare la sua amica giù dal letto era aggredirla fisicamente, quindi prese una rincorsa e le si gettò addosso goffamente, schiacciandola con tutto il suo peso.  –Non sei divertente-, brontolò Kira con fatica, - di prima mattina sei già in questo stato? Se fossi in te mi farei controllare da uno bravo- aggiunse con tono irritato. Frida scoppiò in una grassa risata, dopotutto amava i continui borbottamenti di Kira e, mettendosi seduta  ai piedi del letto, disse –Ieri mattina, di fronte al negozio, ho visto un uomo.- Kira, intenta a stiracchiarsi ancora sotto le coperte, non rispose. –Hai capito cosa ti ho detto?- A quel punto la ragazza depose le armi, si tolse le coperte di dosso e si mise seduta con la schiena ancora sul cuscino, il suo sguardo assonnato faceva trasparire il suo stupore, Frida ce la metteva sempre tutta a sembrare più stupida di quello che era; guardò per un attimo l’amica, che le sorrideva, e si convinse a risponderla: -hai visto un uomo, e allora? Non mi sembra un evento eccezionale-. Si alzò dal letto frettolosamente e uscì dalla stanza per recarsi nella piccola cucina che era a due passi. Frida la seguì ridacchiando, le stava alle spalle e disse –beh, sembrava un uomo interessante, non l’avevo mai visto prima, credo lavori nel palazzo di fronte al negozio, dovrò chiedere a Milly-. Tutte queste parole uscirono a raffica dalla sua bocca e Kira, che era intenta a preparare un caffè, non credeva di aver capito bene cosa volesse l’amica di prima mattina e non le diede molto ascolto. – Sì, Frida-, cominciò a dire in tono ironico, - ti basta vedere una parvenza di uccello per farti sorgere un po di interesse, lo so, ti conosco, che ci vuoi fare, nessuno è perfetto!- Frida lasciò perdere le battute di Kira, si sedette nell’attesa che il caffè fosse pronto e si accese una sigaretta. –L’uccellara sei tu, sei tu la mia maestra- poi, notando che l’amica non stava badando a ciò che le diceva, disse, quasi tra sé e sé –oggi devo scoprire chi è…è troppo carino per rimanere un mistero.
Dopo qualche minuto di silenzio, il caffè era pronto, Kira si sedette di fronte a Frida e cominciarono a sorseggiarlo, senza dire una parola. –Io vado a prepararmi, sono in ritardissimo- disse Kira, -mi aspetta una giornata lunghissima- e detto ciò, si alzò e di fretta si chiuse in bagno. Frida rimase seduta, aspettando che la sigaretta si consumasse ed urlò all’amica –fai in fretta, mi serve il  bagno! Il fatto che tu sia in ritardo non vuol dire che debba far tardi anche io!!!- Ovviamente, Kira non le rispose. Frida tornò in camera sua ed aprì l’armadio per scegliere cosa indossare, avrebbe scelto qualcosa di carino; accese il computer portatile per ascoltare un po’ di musica e rimise in ordine il suo letto. Due o tre canzoni più tardi, sentì la porta di casa sbattere, Kira era uscita di corsa e lei non voleva perdersi lo spettacolo, così si affacciò alla finestra della propria stanza e la vide correre goffamente per la strada, le scappò un sorriso, poi si avviò finalmente in bagno per prepararsi, sarebbe stata una giornata lunga anche per lei.


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