Daniel era seduto nel suo salottino accanto a Carlo e continuava a fissarlo con aria
scettica e a tratti sarcastica, il nuovo acquisto del suo amico non lo
convinceva per niente, “la smetti di fissarmi in quel modo?” gli chiese allora
Carlo guardandolo con la coda dell’occhio,
troppo intento a tenere lo sguardo incollato al monitor della Tv.
“Carlo, io non capisco perché hai portato sta Play Station a casa mia, non la
comprerò e francamente non capisco perché tu l’abbia comprata!”. Carlo gli
rispose senza smettere di maneggiare il suo joystick e senza prestargli molta
attenzione “ma è divertente, può servire pr svagarsi un po’ quando si hanno
dieci-quindici minuti da perdere, aiuta a scaricare lo stress”. Nonostante da
almeno mezz’ora tentasse di convincerlo, Daniel non sembrava accennasse a
cambiare idea “secondo me nemmeno i miei alunni perdono più tempo appresso a
ste scemenze!” gli disse ancora con tono monitorio, per poi spegnergli la
console dopo essersi alzato di scatto, facendo insorgere le proteste di Carlo “ma
dai, in questo periodo si può dire che è la mia unica distrazione! Tra tutti questi viaggi avanti e
indietro, la situazione di mio padre...concedimi un po’ di svago, almeno tu!”.
Di tutta risposta, l’amico sospirò sonoramente, effettivamente non era un buon
momento per Carlo, ma lui, che lo conosceva da tutta la vita, non poteva non
notare il profondo cambiamento dell’amico. Insomma, la mattina dopo sarebbe
dovuto ripartire per Firenze e invece di starsene con la sua ragazza se ne
stava lì con quel videogioco di sparatorie davanti, il Carlo che conosceva non
era così menefreghista, così decise di sedersi accanto a lui e gli chiese
gentilmente di non riaccendere quell’affare. “Che c’è??” gli chiese allora
Carlo infastidito. “Senti”, gli disse Daniel con tono pacato “ormai vai e
vieni, e lo capisco...capisco che stai dando meno attenzioni al ristorante per
stare accanto a tuo padre e a Irma e capisco che questo continuo viaggiare ti
sta stressando, come ti sta stressando la malattia di tuo padre. Però...” “però cosa??” lo interruppe Carlo, come se
fosse leggermente infastidito da quel discorso; “però”, continuò Daniel “sei
tornto ieri a Napoli, domani mattina riparti, per passare un po’ di tempo
libero e scaricare lo stress te ne stai qui, sul mio divano, a giocare alla
play. A me fa piacere che tu stia qui, ma Kira? Cosa sta succedendo con lei?
Non voglio farmi a tutti i costi gli affari tuoi, ma so che non è da te
considerarla così poco...l’avrai vista mezza volta da quando sei venuto, perché
non sei da lei, adesso?”. Carlo sbuffò sonoramente, non aveva nessuna voglia di
parlare della sua situazione con Kira, per lui non c’era niente che non andava.
“Daniel è tutto a posto con Kira. L’ho vista poco perché anche lei ha i suoi
impegni, non posso starle addosso solo perché devo andarmene domani...e poi non
voglio che lei stia in mezzo a tutta questa storia e che subisca il mio
stress” “io credo che mettendola da
parte lei stia più male, è così che subisce veramente il tuo stress!” rispose
Daniel bruscamente., “cos’è? Te lo ha detto lei?”. A quella domanda Daniel lo
guardò quasi sconcertato, “ma che dici? ma figurati...era una cosa che ho
notato io, con i miei occhi...ti vedo stranito, e anche un po’
strafottente..amico, io lo so cosa stai passando, ma se posso darti un
consiglio non chiuderti in te stesso, apriti alla donna che ami, coinvolgila
nei tuoi sentimenti invece di alzare un muro, come stai facendo con me...”.
Carlo sospirò, senza dargli risposta. Così Daniel cercò di smorzare la tensione
e, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, provò a tirarlo su “in ogni caso
ci ho pensato io a farti scollare da questo divano! Dopo cena usciamo con Clara
e Kira, per un birretta tranquilla...quindi io adesso vado a farmi una doccia, così
dopo cena andiamo a prendere le ragzze! E invece di stare incollato a sta cosa,
che per giunta sei pure scarso, vai a preparare un boccone da mangiare, vai a
fare quello che sai fare!”. Dieci minuti più tardi Carlo era ancora lì seduto,
in realtà forse GTA non era proprio il gioco giusto per lui, effettivamente non
ci trovava nulla di interessante, non sembrava esserci uno scopo reale. Così,
stufo di gironzolare col suo personaggio immaginario, che per altro non gli
somigliava per niente, spense la play e decise di cucinare qualcosa, ma cosa?,
Si chiese guardando nel frigo mezzo vuoto di Daniel, in cui riuscì a scorgere
solo uova, birra e qualche affettato “vabbè”, disse tra sé e sé “stasera
andremo di spaghetti aglio, olio e peperoncino!! Il buon vecchio spaghettino
non tradisce mai!”. Nel momento in cui l’odore dell’aglio stava iniziando
leggermente a diffondersi, Carlo sentì
il campanello della porta e guardando dallo spioncino non riuscì proprio a
riconoscere il ragazzo che aveva suonato, ma aprì senza troppi probemi, gettandosi
lo strofinaccio da cucina su una spalla. Si ritrovò di fronte un ragazzotto
abbastanza alto, di massimo trent’anni; notò che aveva un’aria stranamente
familiare, ma era quasi sicuro di non averlo mai visto prima, forse era un
conoscente di Daniel e lo aveva visto di sfuggita qualche volta, si disse. “Sei
Daniel Rossini?” gli chiese il ragazzo, dopo averlo scrutato per qualche
secondo in viso. Carlo gli rispose di no, e capì che evidentemente non era un
conoscente, ma stava cercando proprio l’amico, così lo fece entrare, a primo
impatto gli sembrò un ragazzo dalle buone intenzioni. “In realtà cercavo Daniel
Rossini”, gli disse entrando con una certa sicurezza, quasi con sfacciataggine
“cioè, non lo conosco personalmente, ma dovrei parlargli”. Carlo lo guardò
stranito, stava per chiedergli qualcosa in più quando alle loro spalle spuntò
Daniel in boxer, intento a strofinarsi i capelli con un’asciugamano “chi ha
bussato?” chiese allora arrivando e rimase anche lui per un attimo bloccato
alla vista di quel ragazzo che non aveva mai visto in vita sua, “è un tuo
amico?” chiese allora a Carlo sorridendogli “no, in realtà cercava te…”. Daniel
rimase stupito, cercò di fare mente locale, ma davvero non riusciva a ricordare
chi fosse quel tipo, non l’aveva mai visto prima. Per qualche istante si creò
un imbarazzante silenzio, sia Carlo che Daniel si accorsero che questo ragazzo
sconosciuto guardava fisso Daniel negli occhi, sembrava che lo stesse
analizzando, scrutando, come se stesse cercando qualcosa. “Scusate, sono
piombato qui senza nemmeno presentarmi, io sono Rosario, sono un foto reporter
e mi trovo qui a Napoli per lavoro. Cercavo te, Daniel, per una
questione…ehm…piuttosto delicata…una questione personale”. Daniel sgranò gli
occhi e guardò Carlo, che capì di essere di troppo “ok…io vado in cucina a
controllare la cena…”. A quel punto i due rimasero soli nel piccolo salotto e
Daniel fece gentilmente accomodare il nuovo inatteso ospite “dimmi tutto”, gli
disse allora con tono convinto. “E’ il tuo compagno, quello?” chiese lo
sconosciuto riferendosi a Carlo “oh no”, ridacchiò Daniel un po’ imbarazzato “è
il mio migliore amico e socio in affari…lo conosco da quando eravamo bambini,
diciamo che è mio fratello acquisito!”. Il ragazzo annuì accennando ad un sorriso,
sembrava un tipo abbastanza curioso, continuava a guardarsi intorno e ostentava
una certa sicurezza, non pareva intimidito.. Sentendolo parlare, Daniel notò
che aveva l’accento siciliano, anche se non particolarmente marcato, così intuì
che forse aveva qualcosa a che fare con sua madre, forse un suo
conoscente. “Allora, dicevamo? Cosa ti
porta qui? Vieni dalla Sicilia, conosci mia madre, forse?” Rosario si schiarì
la voce, “sì, sono siciliano, anche se non vivo più in Sicilia per questioni
lavorative, sai, sono sempre in giro per il mondo, sono atterrato oggi a
Capodichino da Ankara..e…io…Daniel io sono tuo fratello”. Davanti a quelle
parole gettategli in faccia così, di colpo, Daniel rimase pietrificato
“co..cosa?” riuscì solo a balbettare incredulo, dopo essersi passato
nervosamente una mano tra i capelli bagnati “ma di che diavolo stai parlando?”
Di fronte alle domande sempre più incalzanti di Daniel, Rosario decise di
raccontargli tutto dall’inizio. Era nato a Messina trantatre anni prima, era
laureato in chimica, ma la passione per la fotografia lo aveva portato a
seguire un’altra strada, e oggi era un giornalista e fotoreporter affermato. Sua
madre Teresa era una maestra d’asilo, suo padre invece era figlio di un
falegname ed aveva portato avanti la piccola falegnameria di famiglia, almeno sino
alla sua morte prematura. Si chiamava Aldo, ed era morto da otto mesi, a soli
cinquantadue anni, per un cancro letale. Rosario raccontò di essere figlio
unico, ma che da quando era bambino sapeva di avere un fratello, un fratello
senza nome, chissà dove. Lo sapeva perché suo padre Aldo, per tutta la sua
vita, non aveva fatto altro che cercare quel figlio che gli avevano impedito di
amare. A sedici anni, infatti, si era innamorato di una giovane, bellissima
ragazza, che tutti chiamavano Esterina, Rosario aveva sentito quella storia
forse un milione di volte. A quel punto del racconto, però, Daniel lo fermò,
visibilmente turbato e confuso “scusa, scusa, fermati un attimo…tu vuoi dirmi
che tuo padre è l’uomo che ha abbandonato mia madre? Mia madre, Ester, mi ha
detto che lui quando seppe della sua gravidanza si tirò indietro, non facendosi
più trovare…”. “Non è questa la verità”
disse fermamente Rosario, con aria severa e sicura, “questo è ciò che hanno
fatto credere ad Esterina…in realtà mio padre non ha fatto altro che cercarti,
anzi cercarVI, per tutta la vita”. La gravidanza
della ragazza, continuò Rosario, fu comunicata ad Aldo dal padre di questa, e
in entrambe le famiglie scoppiò un putiferio. Lui non la rivide più, non ebbe
mai modo di parlare con lei del bambino che sarebbe nato. Ogni giorno era
andato sotto casa sua, ma era stato mandato via e lei non era più lì, non aveva
idea di dove l’avessero mandata, i genitori di lei avevano deciso di
allontanarla da lui, la vergogna che loro figlia fosse una ragazza madre era
troppo grande, nessuno doveva saperlo. Aldo l’aveva cercata in tutti i modi, ma
anche i suoi genitori, che invece forse sapevano dove potesse trovarsi, gli
dissero che era meglio così, era meglio per tutti, a diciassette anni avrebbe
avuto tutto il tempo di rifarsi una vita. Ma Aldo era sicuro che Ester non
l’avrebbe lasciato così, non riusciva a spiegarsi perché almeno lei non si
facesse viva. Qualche anno più tardi venne a sapere delle voci che circolavano
su di lui, tutti in paese dicevano che aveva rifiutato il bambino, abbandonando
lui e la madre, e sempre queste voci dicevano che Ester dopo la nascita del
bambino, un maschietto, fosse andata a vivere fuori dalla Sicilia, ma nessuno
pareva sapere dove. Così, anche dopo aver sposato Teresa e dopo aver avuto il
suo amato figlio, Rosario, non smise comunque di cercarla, lui aveva un altro
figlio, ripeteva sempre, la sua era un’ossessione e a volte pareva vivesse solo
per questo. Rosario era cresciuto così, con l’ombra di quel figlio e fratello
perduto e fu proprio sul letto di morte che suo padre gli fece solennemente
promettere che avrebbe trovato Ester e, quindi, suo figlio, che aveva solo tre
anni più di lui, almeno questa era l’unica cosa che sapeva. Da allora Rosario
aveva deciso di cercarlo, suo padre era morto con quel peso nel cuore, doveva e
voleva farlo per lui. Così cominciò a fare ricerche sulla famiglia di Ester,
riuscì a trovare alcuni suoi parenti, ma nessuno l’aveva più vista e sentita da
quando era partita per Napoli, una trentina di anni prima, così aveva deciso di
spostare le sue ricerche in Campania, ricerche che lo avevano portato
direttamente a Daniel Rossini, che portava lo stesso cognome di sua madre. Quando
Rosario finì di raccontare, tra i due salò il silenzio, Daniel sembrava in
trans, così il ragazzo lo guardò dritto negli occhi “Daniel, sono tuo fratello
e ti sto dicendo che tuo padre ti ha cercato per tutta la vita...”. Daniel
aveva gli occhi lucidi, si prese la testa tra le mani e poi si alzò di scatto
“mia madre deve saperlo assolutamente…” sussurrò.
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