mercoledì 11 maggio 2016

Episodio CXXIV "Fantasmi dal passato"


Assan guardava Ester con aria dispiaciuta, si sentiva impotente davanti a quella situazione, la sua compagna si era chiusa in un mutismo doloroso dalla sera precedente, quando gli era arrivata quella chiamata di suo figlio.
Quella notte lei non aveva chiuso occhio, non si era messa a letto, ma era stata fino all’alba a pensare e a bere the verde, gl i aveva detto che non aveva voglia di parlarne, doveva prima schiarisi le idee.
 Quella mattina, poi, era uscita di casa “vado al cimitero dov’è sepolto. Ho bisogno di stabilire un contatto...ho bisogno di capire”, gli aveva detto; Assan si era offerto di accompagnarla, ma era una cosa che doveva affrontare da sola e da quando era rientrata a casa, verso le tre del pomeriggio, si era seduta sulla sua poltrona rosso borgogna, ferma, con lo sguardo immobile fisso nel vuoto. Il suo volto aveva un’espressione quasi severa e questo perché era terribilmente arrabbiata, provava una profonda e insuperabile rabbia nei confronti della vita.
Perché? Continuava a chiedersi. Perché era successo proprio a lei? Anche quella mattina, durante il tragitto in treno per arrivare al paesino dove era sepolto Aldo, il padre di suo figlio, non aveva fatto altro che farsi queste domande, senza riuscirsi però a dare una risposta. Il cimitero era piccolo, ordinato. Arrivata lì chiese informazioni la guardiano, dopo aver girovagato tra le lapidi, tra i nomi e tra corone di fiori, da lontano scorse il suo nome scritto a grandi lettere, ma si fermò davanti a due o tre tombe più avanti, perché davanti a lui c’era una donna vestita di nero che stringeva un rosario tra le mani, singhiozzando silenziosamente.
Era una donna minuta, con i capelli biondi raccolti in una lunga treccia e il capo coperto da un cappellino nero con una piccola visiera, che lei abbassò lentamente sulla fronte come per coprire gli occhi rossi di lacrime. In quell’istante Ester aveva pensato di andar via, cosa ci facev
a lì? Che diritto aveva lei di stare in quel posto di sofferenza, dove c’era una moglie, una vedova, che ancora piangeva il suo uomo? Ma poi cambiò idea, anche se lui non poteva risponderle, lei doveva parlargli, doveva riconciliarsi con il falso dèmone che per tutta la vita l’aveva perseguitata, quell’abbandono che in realtà, forse, non c’era mai stato. Trascorsero dieci minuti prima che quella donna, dopo aver accarezzato un paio di volte la fotografia sulla lapide, andò via con aria seria; le passò accanto, e per un istante Ester avrebbe voluto fermarla per chiederle qualcosa di lui, ma poi rinunciò e col capo chino si avviò lentamente davanti alla tomba, che stava a pochi passi da lei; arrivata, fece un respiro profondo prima di alzare lo sguardo.
Scrutò quella foto, erano trentasei anni che non lo vedeva, ma le sembrò di scorgere in quel volto lo stesso ragazzino diciottenne di cui si era perdutamente innamorata e che tanto aveva maledetto per tutti quegli anni in cui era stata sola. Era bellissimo. I grandi occhi azzurri, identici a quelli di Daniel, avevano la stessa luce; il viso era segnato da poche rughe, d’altronde aveva poco più di cinquant’anni quando era venuto a mancare.
Chissà che tipo di uomo era diventato, chissà se era stato un buon padre per suo figlio Rosario, chissà se era stato un buon marito...tutte quelle domande le rimbombavano in testa come un martello pneumatico. Ma più di tutto, a straziarle il cuore, erano mille ‘perché?’.
Per tutta la vita si era chiesta perché l’avesse abbanonata, perché avesse rifiutato suo figlio, mille volte aveva pensato di cercarlo per chiederglielo di persona, ma ogni volta aveva desistito, dopotutto perché avrebbe dovuto? Perché avrebbe dovuto cercare un uomo che non la voleva? Quando da ragazzina prese la nave per Napoli insieme a Daniel appena nato, pianse per tutto il tragitto: proprio Aldo, che le aveva giurato amore eterno, che centinaia di volte le aveva promesso che l’avrebbe sposata e che sarebbero stati felici insieme, come aveva potuto dimenticarla così? Come aveva potuto rifiutare il frutto del loro amore? Per tutti quegli anni aveva cresciuto un figlio da sola, si era imposta di non innamorarsi, di non sposarsi, ma di pensare solo a stare con Daniel, per impegnarsi al massimo a fargli da madre e da padre.
Ci aveva messo tanti, troppi anni per accettare che il destino aveva deciso così, che forse lui non l’amava veramente come diceva e che era stato meglio così, era stato meglio non rivederlo mai più. Ma adesso tutto era cambiato, ora tutto era chiaro. I suoi genitori e i genitori di lui li avevano separati, facendole credere che lui l’avesse rifiutata. Per tutti quegli anni avevano vissuto a chilometri di distanza, lei con il loro figlio, lui senza di loro; lei col cuore spezzato, deluso, ferito, lui con l’ansia di ritrovarli. Ci era quasi riuscito, alla fine, grazie a suo figlio Rosario, ma non aveva fatto in tempo, un’altra beffa di quel destino che li aveva allontanati, così lui adesso non c’era più ed Ester non poteva parlargli, non poteva ascoltare le sue spiegazioni, ma soprattutto, la cosa che le faceva più male, è che altri avevano deciso deliberatamente di non fargli conoscere suo figlio, il suo primo figlio, ma soprattutto avevano negato un padre ad un bambino.
Ester non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno di primavera, Daniel aveva sette anni, e lei lo trovò seduto per terra con le gambe incrociate, fuori al balcone; giocherellava con dei pennarelli, ma davanti a lui c’era un foglio vuoto e lei, da madre, si accorse subito che era triste e pensieroso. “Cosa c’è, amore? Non sai cosa disegnare?” gli chiese allora accarezzandogli i capelli chiari; lui allora alzò lo sguardo, i suoi occhioni azzurri erano lucidi, poi li riabbassò di nuovo sul foglio, “no”, le rispose allora con un filo di voce “stavo solo pensando...perchè io non ho un papà?”. In quel momento Ester si sentì trafitta al cuore, sapeva che quella domanda sarebbe presto arrivata, insomma, suo figlio era cresciuto ed era ormai abbastanza grande da capire di non avere una famiglia tradizionale. In quel momento lei capì che Daniel doveva sapere la verità, e gli raccontò che il suo papà aveva deciso di rimanere in Sicilia e che, forse, un giorno, si sarebbero potuti rincontrare. Crescendo, negli anni seguenti, Daniel capì che il padre lo aveva abbandonato, e un giorno, a sedici anni, le chiese se fosse andata così, ed Ester non potè mentirgli, era grande ormai, ed era abbastanza forte per conoscere a fondo tutta la storia. In ogni caso, suo figlio aveva sofferto inutilmente, gli era stato strappato via suo padre, con l’inganno e lei adesso non riusciva a non colpevolizzarsi, avrebbe dovuto capirlo, avrebbe dovuto cercarlo, così si sarebbe chiarita tutta la situazione.
“Perché non hai insistito di più? Perché quando ti impedivano di vedermi, non hai fatto di tutto per venire da me?” bisbigliò, con le lacrime agli occhi, rivolgendosi a quella tomba silenziosa. “Avremmo potuto avere la vita che sognavamo, avremmo potuto crescere Daniel insieme, avremmo potuto essere una famiglia, una vera famiglia. Potevamo scappare via insieme, e costruire tutto da zero, come ho fatto io a Napoli...ma insieme a te sarebbe stato diverso...” disse ancora piagnucolando a voce bassa, per paura che qualcuno potesse sentirla. “Ho continuato ad amarti come una ragazzina, per così tanto tempo...poi ho dovuto costringere il mio cuore ad odiarti e a dimenticarti...chissà se tu pensavi veramente a me, a tuo figlio, o se ci hai dimenticati dopo che ti sei fatto una famiglia...vorrei chiederti così tante cose....ma la vita è stata ingiusta con me, mi ha negato l’amore nel modo più meschino e non mi ha dato nemmeno il tempo di rincontrarti e di parlarti. Ora cosa mi resta? Un figlio cresciuto senza suo padre e un padre che non ha potuto vederlo crescere e diventare l’uomo che è adesso. Sono certa che saresti fiero di Daniel, penso di aver fatto un buon lavoro con lui. Ti assomiglia così tanto, ogni singolo giorno più lo guardavo, più rivedevo te. Ha i tuoi stessi occhi, il tuo stesso sorriso ed è così lunatico, proprio come eri tu...e sai, quel gesto che facevi sempre, di passarti la mano tra i capelli quando eri nervoso? Lui lo fa sempre quando è agitato...è diventato un uomo meraviglioso, mi dispiace così tanto che tu non possa conoscerlo e soprattutto che non possa dirgli di persona come sono andate realmente le cose e che hai pensato a lui in tutti questi anni”. Rimase lì davanti per quasi due ore, alternando tristezza a rabbia e rassegnazione, dopotutto non poteva tornare indietro, non poteva cambiare le cose, ormai la loro vita era andata così e non c’era modo di rimediare, il loro amore era stato spezzato, aggredito, umilato. Alla fine gli chiese scusa per averlo odiato per quasi quarant’anni, ma sapeva che lui l’avrebbe perdonata, sapeva che l’avevano portata via da lui contro la sua volontà. Per tutto il tragitto di ritorno, sull’autobus e sul treno non fece altro che pensare al suo viso, mentre mille pensieri le frullavano in testa.

Ora se ne stava seduta lì, su quella poltrona, si sentiva svuotata mentre i suoi cagnolini restavano accucciolati davanti ai suoi piedi, come se percepissero il suo umore, come se la comprendessero.     Assan le si avvicinò, con lo sguardo dolce che non perdeva mai e si poggiò delicatamente sul bracciolo della poltrona. Dal giorno prima non le aveva chiesto nulla, lui la conosceva bene, sapeva quando era il momento di lasciarla tranquilla, a pensare e sapeva che era arrivato il momento giusto per starle vicino. Così le ccarezzò delicatamente i ricci, “come stai?” le chiese, “ti ho preparato il riso al curry che ti piace tanto, penso che tu debba mangiare qualcosa...ma se vuoi parlare, parliamone...vuoi?”.     Ester alzò lo sguardo verso di lui e gli accerezzò lentamente la guancia, “sono molto triste, amore mio”, gli disse dolcemente, “lo so...” rispose allora lui, “che cosa pensi? A cosa stai pensando da ieri? Questa notte non hai chiuso occhio....”.     Ester sospirò sonoramente, “mi sento così vuota...ho passato tutta la vita a fare la ragazza madre, da sola, in una città sconosciuta...ho lottato contro i pregiudizi della gente, contro il disprezzo dei miei genitori, ho dovuto sempre farmi forza da sola...e per cosa? Per una cattiveria, Assan...solo per una cattiveria, per l’ignoranza schifosa di quelle persone che per tutta la vita mi hanno fatto odiare la persona sbagliata. Se le cose fossero andate diversamente, avrei avuto una famiglia, mio figlio avrebbe avuto un padre, io avrei avuto un marito.     E ora che l’ho scoperto, ora che ho scoperto che la colpa non è stata di Aldo, che lui non aveva fatto tutto quello che mi avevano raccontato, lui non c’è più.    Daniel non potrà mai più conoscere suo padre, non potrà volergli bene, non potrà ascoltare le sue ragioni. Lui si sentirà per sempre un figlio abbandonato, anche adesso che conosce la verità, oramai è inutile”.      Assan le asciugò le lacrime con un dito, non l’aveva mai vista così abbattuta, lei era sempre stata allegra, forte, energica. “Sono stati cattivi tua madre e tuo padre...nel tuo cuore hai potuto perdonare Aldo, ora dovrai trovare il modo di perdonare loro, che sono in cielo davanti al giudizio di Dio”. Ester gli sorrise dolcemente, Assan era molto religioso, a differenza sua, e credeva fermamente nella forza del perdono “amore mio”, gli disse allora lei “tu sei così buono, un cuore buono come il tuo non potrà mai comprendere questo grado di cattiveria. Non li perdonerò mai, se Dio esiste sa che non posso farlo. Li ho odiati quando mi hanno mandata via, da sola, col mio bambino, ma avevo trovato il modo di scusarli. Ma adesso no, non posso perdonarli. Hanno avuto tutto il tempo per raccontarmi la verità, potevano raccontarmela sul letto di morte! Invece hanno preferito morire con questo atroce segreto, hanno negato un padre ad un bambino...non li perdonerò mai, spero che stiano bruciando all’inferno”. Assan sussultò, ma capiva perfettamente il suo stato d’animo, si sentiva profondamente ferita, era piena di rancore e di rimpianto,     “amore mio”       le disse allora, dopo un’altra carezza, “un giorno, quando ci sarà il giudizio finale, quando tutti saremo al cospetto di Dio, tu potrai rincontrare Aldo, e potrete vivere felici come meritavate, mentre loro due, tua madre e tuo padre, non hanno vissuto felici in vita e non riusciranno a farlo mai..”       poi la strinse forte a sé    “adesso pensa che sei stata bravissima, hai un figlio bravo, intelligente, sei stata tu a titrarlo su così bene...poi ci sono io con te, e voglio darti tutto l’amore che meriti, curerò io ogni tua ferita, e vedrai che troverai la forza di andare avanti”. Ester si sentì più serena, Assan aveva ragione, non aveva senso crogiolarsi nell’odio e nel rimpianto, e per un attimo si sentì fortunata ad aver trovato una persona come lui, forse infondo la vita aveva voluto ripagarla.

Nessun commento:

Posta un commento